Ti sei mai accostato al mondo del neurobranding?
Si tratta del più potente strumento di marketing, insieme al neuropackaging e al neuromarketing.
Come le altre due discipline appena citate, il neurobranding si differenzia per qualità e valore tra tutte le altre strategie e teorie sulla vendita per un motivo ben preciso: è tutto scientificamente provato, e si serve di strumenti che riportano dati effettivi.
Non è certo una cosa da poco!
Molto probabilmente, anche se non sei un esperto del settore, conosci già qualcosa senza saperlo.
Il neurobranding lavora infatti molto sull’inconscio – come vedremo tra un istante – e sull’impatto emotivo che un brand riesce a suscitare nei potenziali clienti. Sicuramente anche tu nel corso della tua vita hai già scartato o selezionato un prodotto proprio in base alle tue prime impressioni.
E questo comportamento viene spigato proprio dal neurobranding.
Possiamo quindi definire il neurobranding proprio come la neuroscienza applicata al marketing e potrà esserti di grande aiuto anche nello sviluppo e nella crescita del tuo brand.
Sarebbe un peccato lavorare a un prodotto con cura e impegno per poi rovinare la sua presentazione al pubblico, che potrebbe non notarlo o persino non rendersi conto che quel prodotto è proprio ciò che fa al caso suo, non è vero?
Se sei dunque curioso di conoscere meglio cos’è il neurobranding e come puoi applicarlo con successo al tuo business allora sei nel posto giusto.
Allaccia le cinture perché partiamo!
Cos’è un brand e cosa significa “fare branding”
Prima di tutto è meglio partire dalle basi: di cosa parliamo quando parliamo di brand?
Il brand è il fulcro comunicativo di un prodotto, che parte dalle cose più basiche come il nome e il logo fino ad arrivare alla storia di un marchio e alla sua brand identity.
Nel mezzo ci sono infinite scelte – che non possono essere mai casuali – per quanto riguarda promozione, packaging, presentazione, mondo social, interazione con il pubblico, spot… che a loro volta coinvolgono professionisti di qualsiasi settore.
Ed è proprio per questo che le neuroscienze vengono in nostro aiuto: per scegliere con più certezza e con meno errori possibile cosa è giusto proporre al proprio target riguardo al proprio prodotto.
Marchi storici ma anche recentissimi insegnano una grande verità: come l’apparentemente “freddo” approccio scientifico delle neuroscienze giochi in realtà fondamentalmente con i nostri livelli percettivi più emozionali e inconsci, e questo lo scopriremo insieme strada facendo.
Perché fare branding è tutto questo: capire cosa tocca le emozioni del pubblico, per andare incontro alle sue necessità e farsi scegliere tra i sempre più numerosi prodotti competitor che un potenziale cliente può trovare davanti a sé durante il suo shopping o le sue ricerche.
Creare un brand unico, quindi, immediatamente riconoscibile e – non ultimo – facile da ricordare.
Già, perché è proprio la memoria il punto cardine degli studi di neuroscienze applicate al branding, come scoprirai tra un attimo.
Cos’è il neurobranding
La memoria, come appena accennato, è il vero e proprio fulcro attorno a cui ruota tutto il neurobranding.
Non parliamo solo di memoria rispetto a un brand da tenere a mente una volta visto, ma anche di un lavoro sulla memoria personale del futuro acquirente.
Prima diamo però uno sguardo al significato del termine neurobranding, perché da solo spiega il senso del suo lavoro: un mix tra neuroscienze e branding.
Le neuroscienze infatti posseggono gli strumenti più avanzati per decretare con certezza assoluta e misurabile le reazioni del cervello umano quando viene messo davanti a un prodotto nella sua totalità.
Si possono studiare così le reazioni istantanee ed emotive a loghi, spot pubblicitari e tutto ciò che coinvolga l’immagine (ma non solo) nella presentazione di un articolo.
Si è infatti studiato che la scelta se comprare o meno un prodotto avviene in un tempo brevissimo: meno di 8 secondi.
È quindi vitale per il successo di un brand capire e conoscere tutte le possibili dinamiche che la visione del proprio prodotto può scaturire nei primi istanti.
L’investimento in studi e consulenze relativi al neurobranding è dunque di fondamentale importanza per un guadagno migliore sul lungo periodo.
Emotività e inconscio, dunque: sono loro a padroneggiare i nostri istinti durante l’acquisto. Possiamo poi aggiungere calcoli e ragionamenti, senz’altro necessari in seconda battuta, ma a comandare sono sempre le nostre aree più primordiali del cervello.
E sono proprio quelle che il branding deve saper attrarre, non solo per mero interesse di vendita ma anche per raggiungere il pubblico più mirato rispetto alla sua offerta.
Ecco che ritorniamo a parlare di memoria: nulla come la memoria è connessa alle emozioni più ancestrali.
Un marchio può ad esempio comunicarci sicurezza e affidabilità grazie a una sapiente scelta di grafica e colori, suggerirci qualità grazie a una particolare texture o regalarci una carica di vitalità alla fine di una lunga giornata grazie a un design invitante e attraente.
Questi princìpi si adattano inoltre a qualsiasi tipo di brand: può trattarsi di una società assicurativa, una crema corpo o un pranzo confezionato… le regole sono sempre le stesse.
La memoria gioca quindi un ruolo decisivo nel toccare le giuste corde del nostro cervello.
Magari quello shampoo, con quella grafica che è rimasta quasi invariata nel corso dei decenni, ci ricorda quello che usava nostra nonna e per questo verrà scelto tra tutti.
Oppure può avere una grafica mai vista prima, che facendoci pregustare degli aromi balsamici tra testo e colori fa tornare a galla ricordi di un bellissimo viaggio in montagna che abbiamo fatto e che vorremmo rivivere.
Basta davvero un istante: pochi secondi e la scelta è decretata.
Inoltre è importante riuscire a memorizzare uno specifico marchio tra i tanti, per poterlo notare e soprattutto ricomprare.
Lo shopping, reale o virtuale, viene spesso effettuato in fretta e furia, magari quando si è più stanchi… è di fondamentale importanza che un marchio salti subito alla mente, o che venga notato all’istante: non dev’essere necessariamente sgargiante, può anche essere solo diverso dagli altri, magari paradossalmente anche il più semplice.
Ma come funziona il neurobranding?
Branding e neuroscienza
Il neurobranding punta a creare un pattern associativo nel cervello del consumatore, in modo che connetta il brand ai suoi ricordi precedenti.
È molto importante che queste associazioni vengano stimolate continuamente, perché la memoria tende ad esaurirsi e un cliente potrebbe arrivare a dimenticarsi di un prodotto che aveva già acquistato in precedenza.
È anche per questo che il branding si occupa anche di spot pubblicitari il più possibile efficaci.
Ti è mai capitato di ricordare un jingle pubblicitario dopo anni, o di ricordare immediatamente a quale prodotto è associato un suono, o anche solo un abbinamento cromatico? Questi sono proprio esempi di branding vincente!
L’obiettivo del branding è quello di creare una memorizzazione, prima di tutto del marchio (per il primo acquisto a scatola chiusa) e successivamente anche con le qualità del marchio stesso (verso una fidelizzazione).
Ed è qui che entrano in gioco le neuroscienze, con test specifici e calcoli esatti, anche attraverso macchinari all’avanguardia.
Ma si tratta di un investimento: meglio spendere un po’ di più prima del lancio di un prodotto ed effettuare più vendite, che risparmiare rischiando il flop.
Questi test valgono, naturalmente, anche per i rebranding, siano essi per dare una marcia in più alle vendite, che per rinnovare un marchio storico attirando pubblico nuovo.
Gli obiettivi del neurobranding
Il neurobranding punta quindi a indirizzare il pubblico: verso un prodotto, un’idea, ma anche uno stile di vita.
Naturalmente c’è anche la questione etica da tenere in considerazione, dato che si tratta di lavorare sulle emozioni umane.
Questo sta logicamente alla coscienza del singolo brand, ma le tecniche del neurobranding possono anche essere parecchio etiche nel caso in cui si voglia trasmettere messaggi positivi come mangiare più sano, comprare articolo equo solidali, fare più esercizio fisico, eccetera. Le possibilità sono infinite.
L’obiettivo è creare un collegamento neurale tra il proprio prodotto e una sensazione (e memoria) di benessere attraverso soprattutto la dopamina.
Quest’ultima è nota per essere connessa alle sensazioni di piacere, anche già solo in modo anticipatorio.
l neurobranding punta quindi a trarre guadagno dagli studi di neuroscienze, in un modo il più possibile vantaggioso sia per il venditore che per il cliente, che deve essere felice e soddisfatto.
Il giusto uso delle tecniche di neuroscienza serve anche a evitare al cliente acquisti sbagliati, perché capirà più facilmente e in fretta se quel prodotto fa per lui.
Davanti a questo non c’è prezzo che tenga: molto spesso non è infatti il prodotto più economico a vincere, ma semplicemente il prodotto giusto, che dà più soddisfazione e identificazione con lo stesso.
Il fulcro è sempre quello: lo stato d’animo del cliente, che deve sentirsi affine sotto vari aspetti, rappresentato, stimolato da ciò che ha appena comprato e nulla come memoria, appartenenza e piacere si connette meglio a questi meccanismi.
Cosa determina il successo di un brand
Perché un brand abbia successo, dunque, ci sono dei punti fondamentali da tenere in considerazione.
L’aspetto emotivo, come abbiamo visto, è senz’altro il più importante, perché determina appartenenza e connessione con il brand stesso.
Senza attrazione emozionale è impossibile arrivare efficacemente al grande pubblico, il quale deve sentirsi parte del progetto, affezionarsi e fidelizzarsi.
Ma prima di tutto questo è importante che arrivi a conoscere il brand in questione, che deve necessariamente spiccare nella concorrenza, essere riconoscibile, memorabile, distinguersi e farsi notare dal suo target di riferimento.
Riconoscere il più precisamente possibile il target di un brand è altrettanto fondamentale, proprio perché sapendo chiaramente a chi si vuole comunicare sarà molto più facile ed efficace farlo.
Chiaramente, detto questo anche tutti gli elementi legati ai 5 sensi diventano centrali: la scelta di parole, slogan, suoni (come ad esempio i suoni binaurali), grafiche e colori dev’essere un aspetto su cui investire senza riserve.
Di conseguenza è importante anche la distribuzione, che grazie alla giusta pubblicità deve poter raggiungere il proprio target nel modo più immediato possibile.
È proprio per conoscere meglio il proprio target e attirarlo verso il proprio brand – e farsi conoscere da esso – nella maniera più efficace che entrano in gioco le neuroscienze: quali frasi sono più efficaci? Quali abbinamenti cromatici? Quali concetti? Cosa arriva di più, e in che modo?
È proprio per questo che nasce il neurobranding!
Perché usare il neurobranding
Come abbiamo visto, i vantaggi sono molteplici e indirizzati a trarre il meglio da un qualsiasi tipo di progetto di branding, sia esso riguardante la vendita beni materiali o meno.
Ecco i principali:
- Rafforzare il proprio brand comparandolo ai propri competitor
- Capire quali associazioni aumentano la volontà di acquisto
- Scoprire quali associazioni fanno i consumatori in caso di rebranding – o potrebbero fare, nel caso di un brand nuovo (tramite dei test comparativi) – e soprattutto come modificare queste reazioni nella direzione ideale
- Rendersi conto della riconoscibilità del proprio brand rispetto agli altri e migliorare questo aspetto
- Attivare associazioni atte a rendere maggiormente desiderabile il proprio prodotto e quindi più efficace il proprio brand.
Cosa si intende precisamente con associazioni?
Come vengono misurate le associazioni con un brand
Le associazioni sono i collegamenti neuronali impercettibili, quasi totalmente inconsci e rapidissimi che l’essere umano compie nei primi secondi in cui si trova davanti qualcosa da analizzare – in questo caso un brand – tramite un logo, un packaging, uno spot pubblicitario, e via dicendo.
In pochi istanti, il cervello ancestrale decide quasi tutto: se il prodotto in questione sarà acquistato o meno, è già quasi completamente deciso.
È quindi fondamentale per il neurobranding capire quali sono queste associazioni, come vengono attivate e come influenzano le scelte d’acquisto.
Solo così si potranno modificare gli aspetti necessari del proprio progetto, plasmandoli per andare incontro alle aspettative e ai desideri potenzialmente più probabili della propria clientela di riferimento.
Le neuroscienze sono l’aiuto più importante per questa finalità, proprio grazie alle loro misurazioni strumentali che hanno sì alcuni limiti tecnici invalicabili, ma che restano il metodo più preciso per fare previsioni.
E questo soprattutto perché i passaggi mentali che vengono compiuti in fase di acquisto sono così intuitivi da non poter nemmeno venire verbalizzati in modo corretto e veritiero dall’utente analizzato.
Non solo, è stato notato che l’utente intervistato a voce può facilmente falsare le sue risposte istintive per non sentirsi a disagio ed essere socialmente accettato.
I test neuroscientifici più importanti sono due: il test RIAT e il test fMRI.
Il test RIAT misura le associazioni più rapide e inconsce, e può essere eseguito facilmente dai partecipanti: bastano uno smartphone, un tablet o un computer.
Durante il test bisogna scegliere continuamente tra ciò che si vede nelle due parti dello schermo – a destra e a sinistra – nel minor tempo possibile.
Il tempo è il fattore fondamentale di questo test: la rapidità garantisce infatti la minore razionalizzazione possibile, per garantire maggiore fedeltà rispetto alle reali situazioni di vendita.
Più la risposta è rapida e più è efficace la scelta, e farà capire se un prodotto con quelle determinate caratteristiche verrà scelto o meno in fase di acquisto.
Ci sono dei limiti inevitabili nel test RIAT, come il fatto che le scelte sono predeterminate; ma il fattore tempo e la semplicità del test lo rendono utilissimo nel mondo del neurobranding.
Il test fMRI, al contrario, prevede l’utilizzo di un macchinario costoso, ma in suo favore c’è il fatto che si tratta di un test ancora più completo.
Il test fMRI infatti è la migliore tecnica predittiva per quanto riguarda le intenzioni di un potenziale cliente.
Lo scanner MRI grazie a un forte campo magnetico rappresenta il nostro cervello in modo tridimensionale, catturando l’attività dello stesso tramite la misurazione dei valori di ossigeno nel sangue a livello neuronale.
I neuroni più attivi sono quelli che consumano più ossigeno, e viceversa. Si deduce facilmente che in questo modo l’intera attività cerebrale può essere scandagliata facilmente, e colta in quei suoi movimenti rapidissimi di cui abbiamo parlato.
Il test fMRI registra le emozioni sia consapevoli che inconsapevoli, proprio quelle relative alle nostre aree del cervello più ancestrali e importanti per le leggi del branding.
Solo così si possono predire con la maggior sicurezza possibile i futuri comportamenti dei clienti, e tarare il lavoro di branding in modo sempre più accurato.
Anche questo metodo ha però, ovviamente, qualche limitazione, come il fatto che il cervello dia impulsi talmente veloci da non essere sempre facilmente interpretabili, e il contesto un po’ asettico del test che potrebbe alterare leggermente lo stato interiore dei partecipanti.
Questi inconvenienti non sono però quasi nulla rispetto alle enormi potenzialità di questo test, che apre davvero verso le porte della percezione umana.
Esempi di neurobranding
Ma ora facciamo qualche esempio concreto.
È noto lo studio tra due possibili spot pubblicitari della Central Beheer, nota azienda assicurativa: i partecipanti al test fMRI hanno visto entrambi, e sono state registrate le loro sensazioni.
Gli spot di Central Beheer sono notoriamente sempre umoristici, e naturalmente lo erano anche questi due spot presi in esame.
Nonostante siano stati giudicati entrambi divertenti a livello conscio, il test ha notato che l’umorismo del secondo spot, e in generale il finale, non accendeva emozioni positive.
L’ideale è infatti un mix tra emozioni positive e negative, con una prevalenza positiva sul finale.
Nel caso di questo secondo spot, invece, le emozioni inconsce risultarono troppo negative, con un conseguente desiderio troppo scarso rispetto a ciò che offriva l’azienda.
Un altro esempio di neuroscienze applicate sia al branding che al packaging è quello dello studio per Philips secondo cui l’immagine del suo ferro da stiro funzionava meglio se il ferro in questione era mostrato sulla scatola con la mano destra.
Come mai? Gli studi con il test fMRI rivelarono avversione inconscia verso il ferro tenuto in mano con la sinistra, a favore della destra: questo perché il 90 percento della popolazione scrive e usa gli oggetti proprio con la destra!
Conclusioni
Ora conosci tutto ciò che è più importante sul neurobranding.
Hai imparato come dietro ad apparecchi, calcoli e numeri l’obiettivo finale sia però un successo a livello emozionale.
Solo con la giusta connessione con il pubblico un prodotto può essere scelto e ricordato nel tempo.
La memoria è proprio la chiave di questo processo e abbiamo visto insieme come capire e sfruttare al meglio questi meccanismi e associazioni grazie alle neuroscienze.
Non solo per te, ma anche per chi verrà a contatto con il tuo prodotto: più l’esperienza di un cliente sarà appagante e più farà conoscere ed espandere il tuo brand.
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